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Welfare aziendale in Italia: work in progress.

Continuano a crescere in Italia nuovi piani di welfare aziendali, sempre più ricchi di beni e servizi messi a disposizione dei lavoratori dipendenti per accrescere il potere di spesa, la salute e il benessere dell’intero nucleo familiare.


La tabella sottostante racchiude le aree in cui si concentrano prevalentemente i piani di welfare aziendale:

Fig.1

Fonte: Rapporto-Welfare-Index-PMI-2019


Alcuni dei vantaggi collegati all’attuazione di efficienti piani di welfare aziendale, sono: il miglioramento della soddisfazione dei lavoratori e del clima aziendale, incentivare la produttività del lavoro, contenere il costo del lavoro grazie ai vantaggi fiscali collegati a tali piani, fidelizzare i lavoratori, migliorare l’immagine e la reputazione aziendale e ridurre l’assenteismo.

Prima di concentrarsi sullo stato dell’arte del welfare aziendale in Italia, è opportuno avere una panoramica su ciò che succede negli altri paesi del mondo, in materia di welfare, per capire quali siano le azioni concrete sviluppate in contesti diversi da quelli dove siamo abituati a vivere.


Ad esempio, nei paesi Scandinavi, dove il welfare pubblico è molto sviluppato, il welfare aziendale si concentra prevalentemente sull’orario di lavoro e sulla flessibilità, mentre nell’Europa meridionale, dove il welfare è meno sviluppato, si ha un’incidenza più elevata del welfare aziendale.


Ed ancora, in Francia i bisogni dei dipendenti hanno trovato una risposta in unico strumento di solvibilità che ha all’interno tre misure:

  • il Cet: un conto-ore che permette al dipendente di scegliere, (a fronte di ferie non godute/lavoro straordinario), tra sospensione del lavoro con retribuzione o liquidazione di un importo/indennità;

  • il Cesu: un voucher, dal valore predefinito, spendibile per servizi alla persona e al suo nucleo familiare, cofinanziato dal datore di lavoro;

  • l’Ocirp, un sistema di welfare bilaterale che oltre al sostegno al reddito, è dedicato alla formazione professionale.


In Olanda, forma esemplare di welfare privato è Lcss: un fondo ad adesione individuale non obbligatoria, incentivata attraverso una tassazione agevolata che offre al dipendente la possibilità̀ di accantonare una parte della propria retribuzione per finanziare periodi di aspettativa/congedo dal lavoro non retribuiti o non correlati a schemi pubblici previdenziali.


Nel Regno Unito invece, il welfare pubblico ha sviluppato diverse politiche per la conciliazione tra lavoro e famiglia, improntate soprattutto sull’estensione del congedo parentale, accompagnate da un sistema di incentivazione del welfare aziendale nei servizi come asili e servizi per l’infanzia, rappresentato da un’agevolazione monetaria erogata dallo Stato pari al 20% dei costi sostenuti.


Negli Stati Uniti tre grandi aziende (JP Morgan, Amazon e Berkshire Hathaway) hanno recentemente unito le forze per dar vita ad una società indipendente dove i dipendenti possano fruire di cure mediche senza dover sostenere spese elevate.


In Italia il tessuto imprenditoriale è costituito prevalentemente da piccole e medie imprese, che non hanno la stessa capacità economica delle grandi imprese, e, quindi, non possono offrire ai propri lavoratori lo stesso piano di welfare, come succede negli altri paesi.

Questo gap andrebbe colmato dallo Stato che dovrebbe farsi carico di erogare alle nostre piccole e medie imprese vantaggi fiscali ed incentivi, cosicché i dipendenti delle stesse possano beneficiare degli stessi standard di welfare di cui godono i dipendenti delle grandi imprese.


Nel 2016 è stata introdotta in Italia una normativa che ha introdotto nuovi incentivi fiscali a favore del welfare aziendale e li ha estesi ad una gamma molto più vasta di iniziative e servizi attuabili dalle imprese a sostegno dei lavoratori e delle loro famiglie.


Come riporta il “Il Rapporto sul Welfare Index PMI 2019”, in 3 anni le aziende attive, cioè quelle che hanno definito almeno un’azione su 4 aree di quelle indicate nella Fig. 1, sono passate dal 25,5% al 45,9%.

Ancor più significativa è la crescita delle imprese molto attive, cioè con iniziative in almeno sei aree: sono quasi triplicate, passando dal 7,2% nel 2016 al 19,6% nel 2019.

Oggi, dunque, quasi il 20% delle imprese operanti in tutti i settori ha sviluppato politiche di welfare articolate in numerose aree.


Possiamo quindi affermare che negli ultimi anni, il welfare aziendale è riuscito a rompere le barriere dimensionali, sviluppandosi anche nelle piccole e medie imprese:

Fig.2

Fonte: Rapporto-Welfare-Index-PMI-2019


Un’area di grande interesse per le PMI italiane è la conciliazione vita e lavoro, per la quale, attualmente, ci sono diverse iniziative, nei seguenti ambiti:

1. flessibilità nell’organizzazione del lavoro (prevalentemente flessibilità oraria e, in misura minore, telelavoro e smart working);

2. misure a favore della genitorialità (permessi aggiuntivi retribuiti per la maternità/paternità, integrazione completa del congedo di maternità/paternità, asili nido convenzionati);

3. sostegno al reddito famigliare (buoni pasto, mensa aziendale, buoni benzina, rimborso abbonamenti mezzi pubblici);

4. altre misure a sostegno dei lavoratori e delle famiglie (alloggi gratis, convenzioni per l’acquisto di beni di consumo).


La conoscenza del welfare aziendale è ancora poco diffusa: solamente il 26,7% delle imprese ne ha una conoscenza precisa sotto il profilo normativo, mentre più del 50% delle PMI si trovano ancora in una fase sperimentale.


Le PMI e le imprese di più piccole avrebbero bisogno di cooperare fra di loro per creare bacini di utenza sufficientemente larghi, al fine di riuscire ad erogare tutte le misure di welfare più avanzate.


Negli ultimi anni, questo aspetto sta diventando sempre più importante all’interno delle imprese italiane, in quanto la produttività sul posto di lavoro e la performance aziendale sono direttamente proporzionali al benessere ed alla soddisfazione del lavoratore.


Un ambiente di lavoro più vivibile e flessibile porta i dipendenti a sviluppare un senso di appartenenza maggiore, portando il lavoratore a dare il meglio di sé, per il conseguimento di un obiettivo comune, che in tal caso non viene visto solo come mero risultato economico appartenente al titolare, ma come risultato raggiunto da un gruppo di persone che si sente parte di una “comunità” aziendale.



Valerio Renzi, laureato in economia all’università La Sapienza di Roma.


Sitografia

1. https://www.digital4.biz/hr/welfare-aziendale/

2. https://www.aiwa.it/2018/05/welfare-europa-nel-mondo/


Bibliografia

1. Andrea Ciarini e Silvia Lucciarini, “Il welfare aziendale in Italia”, in Sociologia del Lavoro, 2015;

2. Rapporto Welfare Index PMI 2019.

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