
Con la creazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile nel 2015, i paesi dell’ONU si sono impegnati in un programma composto da 17 Obiettivi e 169 traguardi da raggiungere entro il 2030.
Questi Obiettivi sono tra loro interconnessi e indivisibili, bilanciano i tre pilastri dello sviluppo sostenibile:
la dimensione economica;
la dimensione sociale;
la dimensione ambientale.
L’analisi della dimensione economica non può prescindere dalla crescente presenza nel dibattito pubblico dell’economia circolare, vista come strumento per far fronte ad alcune delle sfide più importanti nell'ambito dello sviluppo sostenibile e come strumento in grado di accelerare il raggiungimento degli Obiettivi dell’Agenda, tra cui:
- il 6 sull'acqua;
- il 7 sull'energia;
- l’8 che riguarda il lavoro e la crescita economica;
- l’11 sulle città sostenibili;
- il 12 sul consumo e la produzione responsabili;
- il 13 sul cambiamento climatico.
Secondo i dati delle Nazioni Unite in termini di produzione e consumo sostenibili (Obiettivo 12) il crescente consumo di materiale dimostra che l’attuale modello di sviluppo è insostenibile.
Infatti, solo nel 2015 è stato stimato che per soddisfare i bisogni di una persona, ci vogliono circa 12 tonnellate di risorse.
È chiaro dunque che bisogna incentivare la transizione verso un modello di economia circolare.
Bisogna, in sostanza, incoraggiare le imprese a implementare modelli sostenibili di produzione e consumo, basati sulla gestione sostenibile e sull'utilizzo efficiente delle risorse naturali, sulla minimizzazione dell’impatto negativo sulla salute umana e sull'ambiente e, in particolare, sul ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclo e il riutilizzo.
V’è poi da considerare l’importanza dell’economia circolare in termini di lavoro e crescita economica (Obiettivo 8), ove risulta necessario incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva.
Bisogna, cioè, promuovere politiche orientate allo sviluppo, che supportino le attività produttive, la creazione di posti di lavoro dignitosi, l’imprenditoria, la creatività e l’innovazione, e che incoraggino la formalizzazione e la crescita delle piccole-medie imprese, anche attraverso l’accesso a servizi finanziari.
Ma che cos’è l’economia circolare? E come può aiutare lo Stato e le imprese a cambiare rotta?
L’economia circolare è «un modello economico in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile, e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo»[1].
In un contesto economico basato sul modello di economia lineare, ovvero su uno schema in cui si produce, si consuma e si butta via, assume ancora più rilevanza, ai giorni d’oggi, la transizione che si sta operando verso un modello di economia circolare[2].
Sulla necessità di tale transizione si annovera la testimonianza della Ellen MacArthur Foundation, pioniera nel campo dell’economia circolare, che la definisce come un sistema industriale che è ricostituente o rigenerativo per intenzione e progettazione e che mira a mantenere l’utilità dei prodotti, dei componenti e dei materiali e a conservarne il loro valore[3].
Per dare un’idea dell’importanza dell’economia circolare in Italia e del suo crescente sviluppo è opportuno dare risalto ai dati economici riconnessi a tale incremento.
In particolare, nel “Rapporto sull’economia circolare in Italia” del 2020, frutto della collaborazione tra CEN (Comitato Europeo di Normazione) ed ENEA (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile), viene riportato che
“le attività connesse alla bioeconomia nel 2017 hanno fatturato oltre 312 miliardi di euro e impiegato circa 1,9 milioni di persone, rappresentando il 19,5% del PIL nazionale e l’8,2% degli occupati”.
Nel Rapporto la “bioeconomia” viene considerata come parte del modello di economia circolare e comprende quei settori dell’economia che usano risorse biologiche rinnovabili per la produzione di cibo, materiali ed energia ovvero, i settori “della produzione primaria” (agricoltura, silvicoltura e pesca) nonché quelli “industriali che utilizzano risorse biologiche” (produzione di alimenti, bevande e tabacco, industria del legno, delle fibre tessili, della concia e di carta del legno, chimica verde, farmaceutica, gomma-plastica ed energia).
Per quanto riguarda il fatturato, infatti, si è registrato, nel periodo 2008-2017, un aumento complessivo di circa il 7% in termini di fatturato, rappresentato principalmente da una crescita nei settori della produzione primaria con un incremento del 20%, e dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco, con un aumento di circa il 18%.
Per quanto attiene, invece, all’occupazione, appare utile ampliare l’inquadratura a ciò che l’Eurostat rileva nel Circular Economy Monitoring Framework in cui, tra i vari indicatori, tiene conto del numero di persone impiegate nei settori dell’economia circolare, degli investimenti e del valore aggiunto al costo dei fattori.
In particolare, l’indicatore sugli investimenti lordi in beni materiali nei settori del riciclaggio, della riparazione e riutilizzo, del noleggio e del leasing si riferisce all’investimento effettuato nell’arco di un anno su tutti i beni materiali, inclusi quelli nuovi ed esistenti, acquistati da terzi o prodotti per uso proprio (cioè produzione capitalizzata di beni strumentali), con una vita utile superiore a un anno, compresi beni materiali non prodotti (es. terreni)[4]. In valore assoluto l’Italia registra 1.637 milioni di euro di investimenti.
Mentre, l’indicatore sul valore aggiunto ai costi dei fattori è rappresentato dalla somma del fatturato, della produzione, degli altri ricavi operativi, senza calcolare l’ammortamento, a cui va sottratta la diminuzione delle scorte, degli acquisti di beni e servizi, delle altre imposte sui prodotti che sono collegati al fatturato ma che non sono deducibili, dazi e tasse legate alla produzione[5]. In sostanza, il valore aggiunto è la differenza tra il valore della produzione di beni e servizi e i costi sostenuti per l’acquisto degli input produttivi. In Italia il valore aggiunto è stato di 18.632 milioni di euro.
In termini di occupazione, in Italia, il numero di persone[6] impiegate in alcuni dei settori legati all’economia circolare (riciclaggio, riparazioni e riutilizzo) è riportato in questa tabella:

Fonte: Circular Economy Monitoring Framework, Eurostat
Nonostante si sia registrato un calo del numero di persone impiegate rispetto all'occupazione totale (2.06 rispetto a una media europea del 1.69 nel 2017), si può comunque notare come il numero di persone impiegate in tali settori è in crescita dal 2015.
Anche GreenItaly (Fondazione Symbola) riporta dati incoraggianti in termini di occupazione: nel triennio 2015-2018 sono state 432 mila le imprese italiane che hanno investito - o che avevano intenzione di farlo - in tecnologie green, tecnologie che rientrano nell’ambito del modello di economia circolare.
A dimostrazione di quanto sia fruttuoso tale incremento, si consideri che solo nel 2019 sono state 300 mila le aziende che hanno investito - o avevano intenzione di farlo - sulla sostenibilità e l’efficienza.
Questi numeri equivalgono a 432.288 milioni di euro in termini di eco-investimenti, che riguardano:

Fonte: GreenItaly 2019
Per rendere possibile l’attuazione di tali manovre, è però altresì necessario che vi sia un ambiente favorevole allo sviluppo e all'implementazione dei modelli di economia circolare, ponendo in risalto l’importanza del ruolo dei policy makers nel raggiungimento tale obiettivo.
Infatti, nel programma di governo Conte bis viene evidenziata la necessità di «indirizzare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare, che favorisca la cultura del riciclo e dismetta definitivamente la cultura del rifiuto», rimarcando la rilevanza della «piena attuazione dell’economia circolare».
Intento che trova riscontro, ad esempio nella Legge di bilancio 2020, in cui viene istituito un fondo di 20,8 miliardi di euro (ripartito fino al 2034) «finalizzato al rilancio degli investimenti delle amministrazioni centrali dello Stato e allo sviluppo del Paese, anche in riferimento all'economia circolare, alla decarbonizzazione dell'economia, alla riduzione delle emissioni, al risparmio energetico, alla sostenibilità ambientale e, in generale, ai programmi di investimento e ai progetti a carattere innovativo, anche attraverso contributi ad imprese, a elevata sostenibilità e che tengano conto degli impatti sociali».
Come possiamo dunque constatare, l’Italia sta cercando di fare la sua parte nel conseguimento degli Obiettivi individuati dall'Agenda. A conferma di ciò, sempre secondo il Rapporto del CEN ed ENEA, l’Italia risulta essere dal 2019 in cima alla classifica europea dell’indice complessivo di circolarità (basato sulla produzione, sul consumo, sulla gestione dei rifiuti, sulle materie prime, sull'innovazione e sugli investimenti), ottenendo 100 punti con ben undici punti di distacco dalla Germania (89) e dodici dalla Francia (88).
Daniel Lorenzo Torella
Laureato in Scienze politiche e relazioni Internazionali e laureando in Scienze dello sviluppo e della cooperazione internazionale
Bibliografia e sitografia:
www.gazzettaufficiale.it/
www.eea.europa.eu/
www.mise.gov.it/
https://ec.europa.eu/
https://ec.europa.eu/eurostat/
https://www.ellenmacarthurfoundation.org/
GreenItaly 2019, Symbola, Fondazione per le qualità italiane Towards Circular Economy 3;
Ellen MacArthur Foundation (EMF), 2014;
Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020;
Circular Economy Network (CEN);
Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA).
[1]COM(2015) 614 final, L'anello mancante - Piano d'azione dell'Unione europea per l'economia circolare, Commissione Europea 2015
[2]European Parliament “linear economic model, based on a 'take-make-consume-throw away' pattern … to a model which «implies reducing waste to a minimum as well as re-using, repairing, refurbishing and recycling existing materials and products»”
[3]Ellen MacArthur Foundation «industrial system that is restorative or regenerative by intention and design» which «aims to maintain the utility of products, components and materials, and retain their value»
[4] Sono esclusi dall'indicatore gli investimenti in attività immateriali e finanziarie.
[5] Non viene calcolato l’ammortamento.
[6] Il numero di persone occupate corrisponde al numero totale di persone che lavorano nelle imprese (es i titolari di lavoro, i partner che lavorano regolarmente nell'unità e i lavoratori familiari non retribuiti) e le persone che lavorano per tali imprese ma all’esterno di esse (ad es rappresentanti di vendita, addetti alle consegne, squadre di riparazione e manutenzione). Sono esclusi dal conteggio le persone impiegate per la manodopera, i servizi di riparazione e di manutenzione di imprese terze, nonché le persone che sono in servizio militare obbligatorio.